ritengo sia piuttosto effimero. Ed è così da sempre, perché si tratta di un condimento. Non a caso, la scelta delle musiche si basa sui successi più recenti o, al limite, su decoupage datati, ma che hanno un riscontro popolare non indifferente.Ma era così anche negli anni in cui cominciai a lavorare io. Alle sfilate degli anni '70 il condimento era dato dal rock dei Rolling Stones o dai sottofondi dei Beatles e dello stesso Dylan. Oggi, in mancanza di geni e poeti di simile fattura, la fenomenologia musicale si affida all'incisione commerciale del momento, al motivo ridondante e che serve da riempisfilata". Musica, dunque, come accessorio, quasi fosse una borsa o un fermaglio per capelli. E pensare che, agli inizi della stagione dorata delle sfilate in Italia, le modelle erano accompagnate dal pianoforte, che già il cinema aveva scoperto come sottofondo alle immagini sul grande schermo, prima dell'avvento del sonoro. "Quella del pianoforte che accompagnava le sfilate in passerella fu una pratica diffusa negli anni '60 e, recentemente, è stata recuperata con un effetto nostalgico notevole e in situazioni che, a volte, hanno conferito dignità alla sfilata, o quanto meno creato una situazione differenziata tra il ciò che si vede indossato e quello che si ascolta". Ma si tratta di forme sperimentali e non certo di una pratica consolidata. "Esperimenti sono anche le sfilate in cui si cerca di spettacolarizzare l'evento facendo ricorso ai musicisti dal vivo. A Parigi, mi è capitato di assistere ad una sfilata di Stephan Janson che, solitamente, nel presentare le sue creazioni di gusto marocchino mette sul palco musicisti africani, percussionisti che creano atmosfere non necessariamente legate al percorso etnico seguito dalla collezione, ma che comunque suscitano reazioni