IVAN FEDELE

De li duo soli et infiniti universi(2001)
per due pianoforti e tre gruppi orchestrali

L'opera di Giordano Bruno "De l'infinito universo e mondi" non solo ha ispirato il titolo della mia composizione che volutamente vuol suonare "apocrifo", ma ne suggerisce anche la chiave di lettura dal punto di vista formale ed estetico. "Il centro è il punto dal quale io guardo (&ascolto&) dovunque io mi trovi". Questa affermazione del filosofo nolano possiamo anche considerarla come la chiave di volta delle questioni inerenti all'ascolto di un'opera musicale spazializzata. "Materia e forma sono due aspetti della medesima sostanza". Quest'ultima asserzione potrebbe ben rappresentare il cuore delle problematiche dell'estetica. Credo proprio che queste relazioni, certo surrettizie ma non improprie, non sarebbero per niente dispiaciute a Giordano Bruno, il quale cercò sempre di collegare le differenti attività del pensiero umano e le sue discipline in un unico "corpus" organico e internamente correlato.

In "De li duo soli et infiniti universi", opera scritta per il bicentenario della nascita di Hector Berlioz, i due pianoforti solisti (i due "soli", ovvero "soleils" e "solos") sono gli astri che illuminano ciascuno un universo (le due parti simmetriche in cui l'orchestra è stata divisa). Questi universi sono poi "infiniti" (anche se sarebbe più appropriato definirli "molteplici") perché svariate sono le metamorfosi che essi subiscono sotto l'influenza della materia-luce che in essi proiettano-irradiano i "solos-soleils". Gli strumenti del terzo gruppo orchestrale, posto al centro della scena, svolgono la funzione di satellite ora dell'uno ora dell'altro, ora di entrambi i pianoforti. Ciò è evidente nel PRELUDIO che apre la composizione. ZENIT ("Sommets inconnus") e NADIR ("Abysses apparents") sono le due grandi parti in cui si articola l'opera. La loro forma è una libera parafrasi musicale del loro significato astronomico.

In ZENIT, l'iterazione di una breve cellula intervallare (prima di nona minore, poi di settima maggiore) descrive nel tempo e nello spazio tracce di luce che muovono dal registro più acuto dei pianoforti fino a raggiungere lentamente ma inesorabilmente le regioni medio gravi. Nell'INTERLUDIO, senza i pianoforti, i due universi cercano di sincronizzarsi in un unico ritmo, in un'unica fase, senza però mai riuscirci. Solo quando i "solos-soleils" si riaccendono ricompare un'armonia "orbitale" più percettibile. Sto parlando di NADIR, il cui significato astronomico è l'opposto di ZENIT. In questo caso, le figure principali (il cui DNA è costituito da intervalli di seconda maggiore e seconda minore) si addensano in grappoli di note nell'estremo registro grave. Il percorso, qui, tende a svilupparsi gradualmente verso le regioni acute in cui, finalmente, solisti e gruppi orchestrali, sinora ruotanti su orbite più o meno indipendenti anche se sempre correlate, si riuniscono sovrapponendosi, trovando l'unità. Il POSTLUDIO è polvere di stelle&

Ivan Fedele, dicembre 2001